Stabile convivenza more uxorio e perdita del diritto all'assegno divorzile
- Dott.ssa Enrichetta Proverbio
- 2 giu 2022
- Tempo di lettura: 6 min
Cass. civ., sez. VI, ord. 18 febbraio 2022, n. 5447 e Cassazione S.U. 5 Novembre 2021 n. 32198.
L’instaurazione di una stabile convivenza more uxorio non determina la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno divorzile.
La Corte di Cassazione con l’ordinanza sopra indicata affronta nuovamente il tema del riconoscimento di assegno divorzile in favore dell’ex coniuge che abbia instaurato una convivenza more uxorio.
Detta ordinanza trae origine dalla sentenza della Corte d’appello di Torino con la quale era stato negato l’assegno divorzile in favore dell’ex moglie in ragione della sussistenza di una stabile convivenza con un terzo, intrapresa in epoca successiva alla cessazione della vita coniugale.

Questa moglie soccombente ha, così, proposto ricorso per Cassazione, eccependo due motivi afferenti alla violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970 e degli artt. 143, 148, 159 e 179 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto.
La Suprema Corte ha ripreso il principio di diritto espresso dalla sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione 5 Novembre 2021 n. 32198 secondo il quale ” l’’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno».
Si ha quindi la conferma, con l’ordinanza del 18 Febbraio 2022, dell’orientamento della Cassazione in virtù del quale l’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza non determina necessariamente la caducazione automatica e integrale del diritto all’ assegno divorzile.
La pronuncia in commento, si colloca, altresì, in linea con la recente posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità in tema di incidenza della stabile convivenza sull’assegno divorzile.
E’ noto il contrasto giurisprudenziale sorto fin dalla introduzione della disciplina del divorzio, disciplina che circoscrive, all’art. 5, comma 10, l. n. 898/1970, la perdita del diritto all’assegno divorzile all’ unica ipotesi in cui l’ex coniuge beneficiario contragga nuove nozze.
La mancanza di una apposita previsione normativa da cui discenda la caducazione automatica del diritto all’assegno divorzile all’instaurarsi di una convivenza more uxorio del coniuge beneficiario ha, dunque, determinato svariati orientamenti giurisprudenziali, tutti impegnati a riconoscere rilevanza giuridica alla convivenza laddove la stessa sia dotata dei requisiti di stabilità e continuità.
L’orientamento più risalente, affermatosi fin dall’entrata in vigore della Legge (sul “divorzio”) n. 898/1970, sostiene che la convivenza more uxorio, pur se non esclude di per sé il diritto all’assegno di divorzio, incide sulla determinazione della sua entità, se e nei limiti in cui comporti un miglioramento delle condizioni patrimoniali del coniuge beneficiario (Cass., n. 1477/1982; Cass., n. 2569/1986; Cass., n. 3270/1993; Cass., n. 13060/2002; Cass., n. 24056/2006; Cass., n. 2709/2009; Cass., n. 24832/2014): in sostanza questa giurisprudenza sostiene, a causa della natura della convivenza ritenuta priva del carattere di stabilità proprio del vincolo coniugale, unicamente legata al perdurare di una mera situazione di fatto, che detta situazione di fatto non possa dar luogo ad un’esclusione dell’assegno, ma soltanto ad una sua riduzione.
Il secondo orientamento, considerato intermedio, afferma che il rapporto di convivenza determina una sospensione temporanea del diritto all’assegno divorzile, il quale entra in uno stato di quiescenza, con possibilità di reviviscenza nel caso in cui venga meno la nuova relazione (Cass., n. 536/1977; Cass., n. 11975/2003; Cass., n. 17195/2011).
In tempi più recenti si è consolidato un terzo orientamento, inaugurato dalla pronuncia della Cassazione n. 6855/2015, e al quale si è uniformata la giurisprudenza successiva che afferma l’estinzione automatica, definitiva ed integrale del diritto all’assegno divorzile per effetto di una stabile convivenza da parte del beneficiario (così Cass. civ., 8 febbraio 2016, n. 2466 e Cass. civ., 12 novembre 2019, n. 29317).
Il principio ispiratore di quest’ultimo orientamento può essere così sintetizzato: l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una convivenza dotata dei connotati di stabilità e continuità, incide non solo da un punto di vista economico, ma anche sotto il profilo ontologico, facendo venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge.
Tale ultimo indirizzo – consolidatosi nel tempo - afferma per la prima volta che l’instaurazione di una famiglia di fatto rescinde ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale.
Certamente si è in presenza di un grande riconoscimento del principio di autoresponsabilità: la costituzione di una famiglia di fatto è espressione di una scelta libera e consapevole da parte dell’ex coniuge al cospetto del rischio di cessazione del rapporto; viene quindi sancita l’esclusione di ogni residua solidarietà post-matrimoniale con l’altro coniuge, esonerato definitivamente da ogni obbligo.

Detto consolidato orientamento è stato successivamente superato dalla Corte di Cassazione a Sezioni unite che, con la pronuncia del 5 novembre 2021, n. 32198, ha escluso la perdita automatica ed integrale del diritto di assegno divorzile per effetto dell’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza.
In particolare, con la nota pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite n. 28287/2018, è stata confermata la funzione non solo assistenziale dell’assegno di divorzio, ma anche compensativa e perequativa rispetto ad eventuali sacrifici del coniuge, funzione che si fonda sul principio di solidarietà: l’assegno di divorzio tende a ripagare il coniuge richiedente del contributo offerto alla formazione del patrimonio familiare e delle rinunce alle effettive possibilità di carriera e di crescita professionale effettuate, all’interno di un progetto comune, a beneficio dell’unione familiare.
Sviluppando i principi delineati nella suindicata sentenza del 2018, la Corte esclude ogni radicale automatismo in ordine alla definitiva e integrale caducazione del diritto all’assegno di divorzio in conseguenza della nuova convivenza.
E ciò in quanto il riconoscimento della funzione composita contrasta con la caducazione automatica ed integrale del diritto all’assegno per effetto della nuova convivenza, atteso che, mentre l’instaurazione di una stabile convivenza decreta la fine della componente assistenziale, in virtù della rilevanza della famiglia di fatto e delle obbligazioni di assistenza che ne conseguono, altrettanto non può dirsi per la componente compensativa, la quale rappresenta una remunerazione per il contributo fornito e per i sacrifici personali profusi nello svolgimento dell’esperienza coniugale, che, come tale, rimarrebbe ingiustificatamente sacrificata in caso di caducazione integrale.
Il pronunciamento della Corte in questione ha valenza innovativa nel sancire la necessità di un rigoroso accertamento del giudice in relazione alla sussistenza, nel caso concreto, di tutti quei requisiti necessari per la riconoscibilità dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge, ancorché costui abbia intrapreso una nuova convivenza.
La scelta di dar luogo ad un nuovo progetto di vita con un terzo, difatti, non determina la perdita automatica dell’assegno divorzile, ma ne impone la revisione e incide sulla sua quantificazione, potendo far venire meno esclusivamente la componente assistenziale dell’assegno – in quanto il nuovo legame, sotto il profilo della tutela assistenziale, si sostituisce al precedente – ma non anche la componente compensativa-perequativa, espressione del principio di solidarietà post-coniugale.
In tali termini si esprime la Suprema Corte con l’ordinanza 18 Febbraio 2022 in commento che espressamente sancisce il seguente principio.
“Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche all’attualità di mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge, in funzione esclusivamente compensativa. A tal fine, il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare; della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio; dell’apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge. Tale assegno, anche temporaneo su accordo delle parti, non è ancorato al tenore di vita endomatrimoniale né alla nuova condizione di vita dell’ex coniuge ma deve essere quantificato alla luce dei principi suesposti, tenuto conto, altresì della durata del matrimonio”.
Tale pronuncia, dunque, rivela una lettura evolutiva della fattispecie volta a contemperare la perdita della componente assistenziale – in conseguenza della scelta di ricostituirsi un diverso nucleo familiare, nell’ambito del quale l’ex coniuge potrà trovare e prestare reciproca assistenza morale e materiale – con la salvaguardia della componente compensativa, che non ha alcuna connessione con il nuovo progetto di vita, essendo finalizzata al riconoscimento del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole all’interno della comunione familiare.
Avv. Enrichetta Proverbio Amministratore
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