Novità in tema di "Famiglia"
- Dott.ssa Enrichetta Proverbio
- 24 ott 2024
- Tempo di lettura: 4 min
nelle sentenze della Suprema Corte di Cassazione.Sent. 7/3/2024 n. 6229 Corte di Cassazione a Sezioni Unite.
Diritto dell'ex coniuge alla quota di indennità di fine rapporto ex art. 12 bis della legge n. 898 del 1970: esclusione, in sede di individuazione, degli incentivi all'esodo.
Le Sezioni Unite Civili - pronunciando su contrasto di giurisprudenza - hanno affermato il seguente principio:
"La Quota dell'indennità di fine rapporto spettante, ai sensi dell'art. 12 l. n.898 del 1970, introdotto dall'art.16 l n. 74 del 1987, al coniuge titolare dell'assegno divorzile e non passato a nuove nozze, concerne non tutte le erogazioni corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, ma le sole indennità, comunque denominate, che maturando in quel momento, sono determinate in proporzione della durata del rapporto medesimo e dell'entità della retribuzione corrisposta al lavoratore; tra esse non è pertanto ricompresa l'indennità di incentivo all'esodo con cui è regolata la risoluzione anticipata al rapporto di lavoro".
In sostanza la Suprema Corte ha delineato il perimetro degli importi che ex art. 12-bis L. n. 898/70 vanno riconosciuti al coniuge titolare di un assegno divorzile, escludendo dalla ripartizione, quale quota del trattamento di fine rapporto dell'altro coniuge, l'indennità di incentivo all'esodo con cui viene regolata la risoluzione anticipata al rapporto di lavoro, trattandosi di accordo retributivo maturato successivamente al divorzio e non di una retribuzione differita.
Pertanto spetta considerare, per il coniuge divorziato avente diritto, non tutte le erogazioni corrisposte in occasioni della cessazione del rapporto di lavoro, ma le sole indennità, comunque denominate, che, maturando in quel momento, sono determinate in proporzione della durata del rapporto medesimo e dell'entità della retribuzione corrisposta al lavoratore: tra esse non è ricompresa l'indennità di incentivo all'esodo con cui è regolata la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro.
La Corte di Cassazione nel sancire tale principio - e risolvere questioni giurisprudenziali in atto sul punto - evoca una remota pronuncia della prima sezione dalla Cassazione stessa (Cass.civ. 17/4/1997 n. 3294) nella quale si era affermato che l'indennità menzionata nell'art. 12 bis de quo riguardava unicamente quelle indennità di fine rapporto, comunque denominate, che, maturando alla cessazione del rapporto di lavoro, sono determinate in proporzione della durata del rapporto medesimo e dell'entità della retribuzione corrisposta al lavoratore: composizione questa non presente nell'incentivo all'anticipato collocamento in quiescenza.
Infatti nel caso di incentivo al collocamento in quiescenza del lavoratore non si ravvisa il medesimo fondamento delle indennità di fine rapporto e non emerge il contributo allo stesso dell'ex coniuge beneficiario dell'assegno, in assenza di aspettativa maturata nei confronti degli accantonamenti e delle trattenute obbligatorie operate sulla retribuzione durante il matrimonio e successivamente percepite dall ex coniuge obbligato, sotto forma di indennità di fine rapporto, perché il rapporto di lavoro è venuto a cessare (tale essendo il momento in cui il relativo diritto giunge a maturazione).
Le Sezioni Unite evidenziano inoltre che la modalità di calcolo dell'indennità di fine rapporto introdotta dal testo novellato dall'art. 2120 cc (ex art. 1 L. n. 297/1982) è mutata nel tempo ed è attualmente basata non più sull'ultima retribuzione del prestatore, ma sui compensi a questo tempo per tempo erogati e periodicamente rivalutati, ciò che consentirebbe di affermare che l'indennità in questione costituisce un compenso ormai concordato allo sviluppo economico che ha avuto la carriera del lavoratore.
All'indennità di fine rapporto è così comunemente riconosciuta la natura di retribuzione differita.
La connotazione esclusivamente retributiva dell'indennità di fine rapporto evidenzierebbe le differenza tra gli istituti: l'istituto dell'art. 12 - bis citato sancisce un diritto (indennità di fine rapporto) dall'oggetto non sovrapponibile al trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2120 cc.
Il diritto alla quota del trattamento di fine rapporto è stata introdotta dal legislatore per riconoscere al consorte che ha diritto all'assegno di divorzio la spettanza di una quota fissa dell'indennità consistente nella indicata retribuzione differita (calibrando la misura della quota spettante sull'indennità totale limitatamente agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio, al periodo cioè in cui la retribuzione del soggetto tenuto al pagamento dell'assegno ha "concorso" a determinare lo squilibrio post- matrimoniale).
Le SS.UU osservano che seppur l'indennità incentivante l'esodo sia definita attraverso lo stesso elemento predicativo che connota, sul piano lessicale, il trattamento di fine rapporto, la disciplina di favore di cui all'art.12 bis citato non si riferisce a tutte le prestazioni cui il lavoratore ha diritto in dipendenza della cessazione del contratto, ma solo a quelle che obbediscono alla medesima logica (retributiva) cui risponde il trattamento di fine rapporto.
In definitiva il contrasto giurisprudenziale che aveva determinato il rinvio della controversia alle SU si è risolto con l'affermazione del principio di diritto per cui, in tema di determinazione dell'assegno divorzile, la quota dell'indennità di fine rapporto, spettante ai sensi dell'art. 12 - bis della L. n. 74 del 1987 al coniuge titolare dell'assegno divorzile e non passato a nuove nozze, concerne non tutte le erogazioni corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, ma le sole indennità, comunque denominate, che maturando in quel momento sono determinate in proporzione della durata del rapporto medesimo e dell'entità della retribuzione corrisposta al lavoratore, tra le quali non è ricompresa l'indennità di incentivo all'esodo con cui è regolata la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro.
Dr. avv. Enrichetta Proverbio
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